“Nel mio ricordo, come in quello di tutti gli appassionati di calcio,
Lui rimane un grande artista della porta,
un vero e proprio mito.”
A rilasciare queste dichiarazioni fu, qualche anno fa, un certo Dino Zoff, il portiere della Nazionale Italiana talmente forte e decisivo da essere proclamato, senza dubbi di sorta, uno di quei fenomeni che hanno cambiato la Storia del Calcio. Uno dei pochi.
Ma a chi si riferiva?
Per capirlo bisogna tornare indietro di qualche anno, precisamente nel 1921 dove a Carbonera, un piccolo paesino in provincia di Treviso, sta per nascere uno di quei bambini destinato ad essere, come canterà negli anni ’60 Joe Sentieri, “uno dei tanti“.
Giuseppe, questo il suo nome, rischia di avere davanti a sé un futuro “anonimo”, perché se ti chiami Zoff, ogni qual volta che qualcuno pronuncia quel cognome l’immaginazione va subito verso Dino, ma se ti chiami Moro, per passare alla storia ti ci devi mettere davvero d’impegno.
Vasco Rossi nascerà soltanto 40 anni dopo, ma quella “Vita Spericolata” di cui parlerà potrebbe benissimo essere la biografia di Giuseppe, detto anche Bepi, che di quella “vita spericolata” ne farà un mantra per entrare nella storia, nel bene e nel male.
La vita di Bepi può essere divisa principalmente in tre fasi: quella adolescenziale, quella della consacrazione e quella del declino.
La vita adolescenziale non fu per niente facile. Tra un’assenza a scuola e
l’altra, infatti, Bepi più che ai libri pensava ad altro, sognava di difendere la porta della Nazionale Italiana di Calcio , un sogno da poco insomma.
Il suo obiettivo, infatti, era quello di diventare un portiere di successo, ispirato dal suo idolo František Plánička che lo farà innamorare del calcio a tal punto dal portarlo a “rubare” i soldi, destinati al pane, per andare a comprare il suo primo pallone.
Come tutte le storie a lieto fine, Moro riuscirà a perseguire il suo sogno, ma prima di poter difendere una porta in un campo da calcio, si ritroverà a difendere la porta e l’orgoglio della propria Nazione.
La guerra non fa sconti ed un corpo giovane, atletico e allenato come il suo dev’essere messo a disposizione della Patria, non a Treviso però ma in Sicilia.
Al contrario di un altro ex giocatore biancorosso, Cesarino Grossi, Moro riuscirà a salvarsi sia agli scontri successivi allo Sbarco in Sicilia che alla successiva Occupazione tedesca di Treviso, appena dopo esser tornato nella propria città natia.
E’ proprio in guerra che nasce il fenomeno Moro. Come spiegherà lui stesso in questa nostra trascrizione completa di una sua intervista, Bepi sviluppò delle capacità atletiche fuori dal comune per poter portare a casa la pelle, specialità: il lancio da un furgone in marcia.
La guerra stessa, inoltre, lo forma nel carattere, schivo ma allo stesso tempo anarchico, un carattere che lo porta spesso a non essere d’accordo con le opinioni altrui, anche dei superiori.
E’ proprio per questo che, a Guerra terminata, la sua prima grande occasione nel calcio che conta si interrompe dopo una sola stagione. Alla fine di un campionato duro e con risultati altalenanti, Moro, che ha appena firmato per la società un rinnovo milionario, in pieno disaccordo con il DS Ugolini, viene messo alla porta dalla Fiorentina. Questo, assieme all’ascesa di un altro portiere, Leonardo Costagliola, e ai buoni rapporti tra la Fiorentina ed il Bari, porterà il portiere trevigiano ad indossare la maglia biancorossa, percorso inverso rispetto a Costagliola.
Moro a Bari approderà 27enne, nella piena maturità sportiva che gli aveva permesso di diventare uno dei portieri più interessanti del campionato, con l’obbiettivo di ritrovarsi stabilmente la Nazionale.
Nonostante le basse aspettative, nel capoluogo Pugliese trova la consacrazione, trascinando la squadra verso una salvezza insperata e prendendosi più volte i primi titoli dei giornali, grazie alle strepitose parate e ai 5 rigori neutralizzati in una sola stagione, un record per l’epoca che apre la seconda fase della sua carriera, la consacrazione.
Il portiere trevigiano, infatti, non solo trova un ambiente adatto per dimostrare tutte le sue capacità, ma trova anche una consapevolezza che, fino a quel momento, gli aveva impedito di spiccare il volo. Un eufemismo, perché per una stagione intera non fa altro che volare da un palo all’altro della porta, compiendo acrobazie spesso considerate “spericolate”, utili non soltanto ai fotografi ma anche alla squadra e ai tifosi che, dopo pochissimo tempo, già si sono innamorati di lui.
Il suo apporto sarà fondamentale. Come detto, anche se un giocatore non può essere determinante se non inserito in una squadra bilanciata, le sue parate salveranno il Bari permettendogli di disputare un’altra stagione in Serie A, ma la cosa più importante per lui è la chiamata di Ferruccio Novo, CT della Nazionale Italiana.
Probabilmente Moro dopo la convocazione avrebbe voluto chiamare Ugolini per dirgli “Ecco, questo è il mio vero valore“, ma in cuor suo sa che il principale ostacolo della sua carriera è stato proprio lui: niente più cocaina nascosta nei barattolini dello zucchero, niente più autogol a causa di insulti ricevuti, scagliando un calcio feroce e potente verso la propria porta, ma solo prestazioni cristalline che possono valere la Storia. Sì, la storia.
E’ proprio con questa chiamata che il copione cambia, toccando il punto più alto, infatti, come una delle classiche parabole che si studiano a scuola, comincia il suo lento e rovinoso declino.
Moro non è più “uno dei tanti“ ma sta diventando finalmente Bepi Moro, il portiere spericolato che mezza Italia calcistica vuole nella propria rosa. Annoscia, storico presidente biancorosso, cerca di fare orecchie da mercante davanti ad un asta spericolata che vede, tra le più attive, Roma, Lazio e Torino. Il Bari non è una società solidissima ed è importante rinforzare la squadra, ma è anche molto importante che i pezzi pregiato non si muovano, quindi la risposta ad ogni richiesta è “No Grazie, Moro npn si muove!“, ma ci penserà la storia, tragicamente, a cambiare le carte in tavola.
Il 4 maggio del 1949 infatti, l’Italia intera assiste inerme ad un evento che cambierà definitivamente la storia del Calcio nostrano, a Superga l’aereo del Grande Torino, che tornava da una trasferta europea a Lisbona, ha impattato contro la Basilica, uccidendo tutte le 31 persone presenti a bordo. Quel blocco di Uomini, prima che calciatori, aveva perso la vita lasciando un buco enorme nei cuori delle proprie famiglie e tifosi italiani.
Davanti ad una tragedia di dimensioni epocali, purtroppo, non solo l’aspetto umano fu devastante, ma anche quello sportivo. In ordine cronologico, la prima squadra a dover fronteggiare a questo disastro fu la Nazionale Italiana, una Nazionale che oggi definiremmo “Toro Dipendente” in quanto l’11 titolare era formato per 8/11esimi da giocatori del Grande Torino. Di lì a qualche settimana gli azzurri avrebbero giocato contro l’Ungheria di Puskas in un amichevole di lusso dal sapore Mondiale. Il CT Novo non ebbe dubbi: in porta vuole Beppe Moro, alla sua prima grande occasione.
Dopo la Nazionale, ricucita in modo marginale l’enorme ferita che ancora tutt’oggi il club si porta addosso, la ricostruzione toccò pure e soprattutto al Torino.
La partita fu un successo, un 1-1 contro la forte Ungheria in cui il protagonista azzurro per eccellenza fu proprio il portiere barese, rendendo fiero tutta la tifoseria biancorossa e anche quella italiana, che pensa di aver trovato il degno erede di Bagicalupo. La stessa idea venne anche alla società piemontese che, mentre si leccava le ferite che tutt’oggi ancora si porta addosso, decise di affondare il colpo, il portiere con cui ripartire dev’essere Moro.
L’operazione non è facile, su di lui come detto si è scatenata un’asta e la società barese non ci sente, per questo i piemontesi decidono di affondare il colpo: 53 Milioni di Lire, una cifra spropositata che anche le “orecchie da mercante” del Presidente Annoscia non possono ignorare.
Questa operazione è ancora oggi considerata la prima trattativa milionaria della storia del calcio italiano, una trattativa che addirittura destò disgusto tra gli addetti ai lavori e che fu paragonata ad operazioni di compravendita di petrolio e titoli in borsa.
Moro non era nuovo a trattative milionarie: ad ogni suo trasferimento, il portiere trevigiano riusciva sempre a portare a casa uno stipendio ben sopra la media, ma l’ingaggio monstre che gli frutto il passaggio al Torino fu un’arma a doppio taglio, e soprattutto l’inesorabile inizio del declino della sua carriera.
Accusato spesso di essere un non molto abile giocatore di Poker, fu uno dei principali uomini che non riuscirono a gestire il peso e le aspettative che l’Italia intera riponeva sulle spalle dei nuovi calciatori granata.
L’esperienza al Torino fu con molte ombre e poche luci, nonostante le qualità tecnico/atletiche fossero sotto gli occhi di tutti: fatali per lui furono alcune “papere” che fecero salire i primi dubbi su di lui, considerato sempre di più come un “aggiustatore di partite“.
Al termine della sua carriera, dopo aver girato l’Italia alla fine della sua permanenza a Torino, Moro non riuscirà più a trovare la pace.
Bocciato all’esame del patentino da allenatore, entrerà nella redazione romana del “Corriere Dello Sport” ma vi rimarrà per pochissimo: il mondo dello Sport l’ha dimenticato, l’ha emarginato anche a causa del suo carattere, ormai anarchico, e questo avrà forti ripercussioni su di lui.
«Ci sono momenti in cui spero di sbagliarmi. Che tutto il bello, ma anche il brutto della mia esistenza si dissolvano. Ma non mi sveglio mai da questo sogno che è la vita, un sogno di deliri e di incubi», parole fortissime di un uomo ormai distrutto che ha ancora dentro di se un segreto troppo grande da tenere.
Esausto, infatti, ammetterà che quelle voci che lo vedevano come “aggiustatore di partite” non erano poi così infondate. Fece emergere, infatti, un ambiente marcio, fatto di partite comprate e vendute come se la Serie A dell’epoca fosse diventata uno dei peggiori mercati rionali di qualche periferia sperduta italiana, ma questa sua ammissione non bastò per alleviare il suo dolore, un dolore che lo porterà a girare mezzo mondo per trovare ancora il suo posto nel calcio.
Moro morirà nel ’74 a causa di un mare incurabile. La sua storia è stata negli anni rievocata, ma in quasi tutte le trascrizioni si è puntato più sugli errori di un uomo fragile che sulle potenzialità di un talento cristallino che, seppur per poco, riuscì a capovolgere la storia, perché negli anni della ribalta se si pronunciava la parola Moro, il pensiero andava subito a lui.
Bepi Moro, uno dei pochi.
Curiosità:
Bibliografia: UndiciContati, Settimanale “Il Bari”, “Bari e Il Bari” di Gianni Antonucci, Wikipedia, IlFoglio.
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