Accade tutto in un attimo: un colpo di fulmine per farti innamorare, un gol per cambiare la storia, un piccolo cortocircuito per scatenare un disastro o un intervento killer per spezzarti il cuore. Un attimo, un attimo fugace in cui la storia cambia, prende un’altra strada e dal cui giorno in poi non sarà mai come prima.
Chi l’ha vissuto non se lo scorderà mai.
Così come per l’attentato delle torri gemelle del 11 Settembre 2001, chi era presente allo stadio non eliminerà mai dalla propria testa quell’intervento che cambiò non solo le sorti della partita, del campionato e della storia della squadra biancorossa, ma anche il destino di un calciatore destinato a fare grandi, grandissimi cose anche in ottica internazionale. In gergo tecnico si chiama “Flashbulb memory“, traducibile in “Ricordo fotografico“, un ricordo che scatta solo in momenti particolari della propria vita, soprattutto dettati da quel effetto sorpresa da cui poi si scatenano un turbinio d’emozioni non sempre molto piacevoli.
E’ il 15 settembre del 1991 e al San Nicola si sta giocando Bari-Sampdoria. Il Bari non ha cominciato benissimo il suo cammino in campionato, prima con un 1-1 in casa contro il Torino, poi con la sconfitta in trasferta a Parma, soprattutto perché il calciomercato estivo aveva regalato alla squadra allenata da Gaetano Salvemini giocatori del calibro di Robert Jarni, Frank Farina (almeno sulla carta un grande acquisto) e soprattutto un fuoriclasse inglese chiamato David Platt. L’obiettivo era chiaro, chiarissimo: dopo la Finale di Coppa dei Campioni (l’ultima prima della moderna denominazione “Champions League”) e la Finalina 3/4 posto dei Mondiali di Italia 90 giocate entrambe al San Nicola (su cui arriveranno dei contenuti prossimamente), lo step successivo per la famiglia Matarrese, già al vertice del calcio italiano con il fratello grande Antonio (Presidente della Lega Calcio, ndr), era quello di portare la squadra biancorossa in Europa “dalla porta principale” (citazione divenuta famosissima dopo la rinuncia alla Coppa Intertoto nel 1999).
Nonostante i grandi acquisti, che andarono a rinforzare una squadra già di per sé competitiva, il vero faro della squadra biancorossa era sempre lui, un brasiliano arrivato qualche anno prima assieme ad altri 2 sudamericani che aveva conquistato non solo il cuore dei tifosi baresi, ma anche l’ammirazione in patria e la stima del CT carioca Paulo Roberto Falcão: Sérgio Luís Donizetti più comunemente chiamato João Paulo.
Sulle sue caratteristiche fisiche e tecniche si potrebbe parlare per ore, così
come si potrebbe parlare per ore con i palloni a cui João Paulo ha dato del TU senza timori reverenziali, in un calcio italiano sempre più internazionale e al centro del Mondo, in cui spiccavano grandissimi nomi (basti pensare a Roberto Baggio o a Marco van Basten).
Parlare di Calcio, con la C maiuscola, sarebbe un buon modo per evitare di arrivare al punto, al motivo per cui nasce questo articolo, ma purtroppo il dovere di cronaca e di narrazione ci obbliga a rivivere i momenti di quella fredda e bagnata domenica di settembre in cui tutto cambiò e una città che sognava di vivere una stagione ed una squadra “Europea” (come affermò l’allenatore Salvemini) aprì gli occhi, rigonfi di lacrime.
La partita tra le due squadre è molto fisica, come imponeva il calcio di un tempo e, soprattutto, le condizioni climatiche. I biancorossi sono alla ricerca della quadra e della continuità in quanto la rosa è comunque cambiata tanto e l’avversario non è di certo di quelli più facili dato che si parla dei Campioni italiani in carica che, non a caso, passano subito in vantaggio con Vialli. In una situazione comunque difficile, sono i fuoriclasse a dover tirare fuori dalla melma (in tutti i sensi, dato il terreno non sicuramente ben conciato) la propria squadra e proprio per questo entra in scena il brasiliano: le condizioni non sono le migliori per lui, ma con la sua classe e la sua voglia João Paulo cerca di prendere le redini della squadra per portarla al pareggio, per lo meno fino a quando all’improvviso si sente un tonfo, seguito da un piccolo urlo e poi dal silenzio, uno di quei silenzi assoluti che ti fanno gelare il sangue. E’ successo quello che prima sembrava impossibile, ma a mente lucida era quasi inevitabile: Marco Lanna, difensore rude, arcigno e falloso dei blucerchiati affonda in teckle sul brasiliano, che prima aveva saltato Moreno Mannini, colpendolo in pieno con entrambe le gambe. Lanna si tocca la gamba, dolorante nonostante i parastinchi (il che la dice tutta sull’intensità del contatto, peggiorato dalla scivolosità del campo), ma la situazione più preoccupante è quella che interessa il numero 10 biancorosso, immobile a terra che cerca di “stimolare” la sua gamba sinistra per capire cosa gli sia successo.
https://www.youtube.com/watch?v=52Apbj-RScg
I primi attimi su un infortunio grave sono molto soggettivi: l’adrenalina, la concentrazione ed il clima influiscono molto su dolori e sensazioni, ed è quello che all’inizio accade. La gamba sinistra di João Paulo è rotta, tibia e perone sono completamente fratturate ed il primo ad accorgersene è proprio Moreno Mannini saltato precedentemente dal brasiliano, che dopo un rapido sguardo si gira sconvolto, seguito poi dai ragazzi dello staff medico dei biancorossi che, data la gravità, non possono intervenire direttamente ma hanno bisogno della barella e hanno bisogno di immobilizzare immediatamente l’arto per non peggiorare la situazione. E’ in quel momento che João e tutto il San Nicola realizzano.
Il brasiliano quasi scoppia a piangere: l’adrenalina, via via scemando, lascia spazio ad un dolore lancinante, un dolore che, ipoteticamente, stanno vivendo anche decine di migliaia di cuori biancorossi presenti al San Nicola. La situazione è grave, ed è evidente a tutti, e proprio per questo in molti scoppiano in lacrime. In molti non sanno nemmeno cosa siano la tibia ed il perone, ma le smorfie di dolore, una gamba evidentemente martoriata e la fibrillazione in campo da parte degli addetti ai lavori non lasciano molto spazio all’immaginazione. “E’ rotto“, “E’ finita” sono le frasi più ricorrenti tra chi ha il coraggio di trovare delle parole, ed effettivamente gli esami e le stagioni successive confermeranno quelle prime impressioni dato che la lunga convalescenza e l’inevitabile paura di un nuovo infortunio (come poi accadde, con una ricaduta in allenamento) fermarono l’ascesa del Numero 10 che “assomiglia al Magico Pelè” e che pochi mesi prima aveva trascinato il Brasile al secondo posto nella Copa America vinta poi dall’argentina.
Curiosità:
– João Paulo tornerà in campo, sempre con la maglia del Bari, ma non sarà più come prima. Il brasile non lo convocherà più e l’obiettivo Mondiale 1994 svanirà per sempre, così come svaniscono le richieste delle grandi squadre italiane (Inter in primis) che, preoccupate degli strascichi che un infortunio del genere lascia, si tirano indietro.
– Si racconta che qualcuno dalla dirigenza “aizzò” Brambati, offrendogli una bella cifra, pur di restituire a Lanna il favore;
– Lanna non fu nemmeno ammonito e concluse la sua partita anch’esso “spaventato” dal suo stesso operato, non entrano in maniera troppo rude;
– La mancanza del brasiliano mise in terribile difficoltà la squadra biancorossa che, pur trascinata da David Platt che prese le redini della squadra in mano segnando 11 gol, non riuscì a salvarsi;
– Quello fu l’ultimo vero Bari dei Matarrese, non ci furono più campagne acquisti faraoniche ed anche i numeri degli spettatori (circa 23000 abbonamenti) ne risentirono negli anni successivi.
Una delle giornate più tristi che io ricordi da tifoso.. 🙁
Bravo Paularis
Io c’ero!!