A pensarci fa ancora male, pensare che da quel momento siano passati già (o ancora, punti di vista) 10 anni, fa anche un certo effetto. Molti, calcisticamente parlando, vedono il 15/05/2011 come la data in cui a Bari il calcio è morto, sebbene le tristi conferme e verità verranno svelate solo mesi dopo.
Di quella giornata chiunque si ricorda, perfettamente, tutti gli eventi climatici e sportivi. Afa, fumogeni, assedio leccese e petardi, una combinazione incancellabile nella mente dei più, soprattutto perché fu il preludio all’ultimo evento, l’umiliazione. Quel giorno si giocava un Derby, probabilmente IL Derby, un match la cui unica speranza sponda biancorossa era fare il classico “sgambetto” agli odiati leccesi che proprio al San Nicola venivano a giocarsi la salvezza, speranza che i baresi avevano perso già da qualche mese.
Il Derby di andata, che finì con un entusiasmante 0-1, aveva dato speranza alla squadra di Ventura che, di lì a poco però si sgonfierà in maniera veloce, incontrollata e dolorosa. In mezzo a tutte quelle umiliazioni (sportive e non), l’ultimo messaggio lanciato dalla piazza alla squadra fu un sonoro “ALMENO IL DERBY”.
Al San Nicola si è visto spesso squadre e tifoserie festeggiare per un
traguardo sportivo, indimenticabile “l’Armata Legionaria” romana che conquistò lo scudetto contro un Bari che, anche in quell’occasione, era già mestamente retrocesso, ma lo smacco di veder festeggiare i cugini leccesi era un’eventualità che nessuno dei tifosi biancorossi voleva nemmeno prendere in considerazione, tanto da far riempire nuovamente le gradinate dello stadio dopo settimane di “disaffezionamento generale”.
Il problema, e che problema, è che nessuno sa che l’esito dell’incontro è già stato deciso, nella maniera più indegna ed indecorosa, oltre che umiliante, non solo per la tifoseria barese ma per tutto il calcio italiano in generale.
I giorni e le settimane precedenti al Derby furono surreali. Da uno spogliatoio ormai spaccato ed in cui regnava l’anarchia più assoluta, uscirono voci più o meno credibili di corna, finti infortuni e liti frequenti, a cui si aggiunge, solo tre giorni prima, l’apoteosi: un calciatore che si era già promesso al Bari anche per la Serie B, saluta tutti con un semplice e distaccato fax che recita “E’ stato un piacere blablabla, me ne torno in Ungheria”, rinunciando addirittura agli ultimi stipendi e scomparendo definitivamente dal calcio italiano, un campanello d’allarme enorme che la piazza, ignara e ormai affranta, prende un po’ sottogamba.
In realtà in quello spogliatoio ci sono dei personaggi che, piano piano, sono diventati sempre più schivi e silenziosi, tra cui il vicecapitano (il cui nome non verrà mai fatto) che prima della fatidica gara appare molto più nervoso rispetto al solito. C’è chi sa e chi non sa, difficile credere che possa esserci qualcuno non informato (ma le carte ad oggi recitano così), e probabilmente quei finti infortuni e quegli avvenimenti troppo strani confermano che qualcuno era a conoscenza di qualcosa, ma fatto sta che la stagione sta per terminare e quasi tutti, il giorno dopo, saluteranno per sempre Bari.
La gara è un assedio. Il Bari, che deve schierare un tridente avanzato inedito con Bentivoglio, Romero e Huseklepp, va vicino al vantaggio con Kopunek (che solo un anno prima aveva fatto fuori l’Italia ai Mondiali) e dimostra comunque di voler metterci impegno: i più volenterosi sembrano essere gli stranieri, su tutti gli stessi Huseklepp e Kopunek, che vogliono garantirsi un’altra stagione in Serie A e, soprattutto, non spiccicano manco mezza parola di italiano (coincidenze). Alla lunga, però, le maggiori motivazioni e qualità della squadra giallorossa hanno la meglio e con il gol di Jeda, nei primi minuti del secondo tempo, per loro la strada si fa totalmente in discesa.
Senza i migliori calciatori della rosa, il Bari riesce a reagire di nervi, andando vicini ad un calcio di rigore, ma non riesce a far male ai giallorossi che agevolmente stanno accompagnando gli eventi verso la fine della gara che vorrebbe dire Salvezza.
I petardi ed i fumogeni lanciati dalla curva biancorossa, che obbligano l’esperto Morganti a sospendere momentaneamente la partita, offrono un momento surreale di riflessione ad uno dei calciatori più importanti della squadra di casa, il già citato vice capitano che in questo modo ha degli istanti cruciali in cui riflettere attentamente.
“Lo faccio o non lo faccio?“
Sono queste le parole che passano per qualche istante nella sua mente, vistosamente nervoso in quanto la gara si trova, incredibile ma vero, ancora in bilico. Lui, assieme a pochi altri, è a conoscenza di fatti che il 98% delle persone presenti al San Nicola non sa e nemmeno si immagina.
In quel restante 2% c’è un’altra figura, istituzionalmente importante, che è quella del presidente leccese Semeraro, apparso per buona parte della gara nervoso non tanto per il risultato quanto per gli eventi, che a suo parere non stanno andando come da copione. Un copione, purtroppo, studiato nei minimi dettagli.
Al 80esimo un tiro innocuo di Jeda, destinato a finire sul fondo, viene deviato in porta goffamente proprio dal terzino biancorosso che viene redarguito, in maniera anche abbastanza incredula, da Gillet, il vero e unico capitano di quella squadra, con un secco “Andava fuori A…e, andava fuori!” scandito e ripetuto ad alta voce per tre volte.
Quel gesto goffo era in realtà stato studiato attentamente a tavolino dopo un “Ci penso io!“, culminato con una stretta di mano, detto dallo stesso vice capitano biancorosso direttamente al presidente leccese in un incontro segreto tra i due.
Si verrà a scoprire qualche mese più tardi che quella partita fu combinata, vuoi per la paura di non salvarsi, vuoi per il desiderio di guadagnare qualcosina in più da parte di un giocatore che, qualche mese prima, era addirittura in orbita nazionale.
Mentre ascolta le parole del suo portiere, il terzino è a terra, sembra disperato, incredulo, e prima di sdraiarsi ha un momento, il secondo, per riflettere ed analizzare questa volta ciò che è realmente successo.
In quel momento gli passano mille pensieri per la mente: il primo è quello di aver fatto ciò che doveva fare e di essersi “guadagnato” quegli 80.000 euro, sporchissimi, promessi, il secondo invece è dettato da quel pizzico di dignità che ancora gli è rimasta in corpo.
I pensieri della mente umana sono per il 95% involontari, tra quel 95% per qualche secondo gli appaiono tutte le gioie ed i traguardi che, nei due anni precedenti, quel giocatore aveva raggiunto con la squadra biancorossa, la Serie A dopo 8 anni ed un campionato straordinario, l’anno dopo, arrivando addirittura a sfiorare l’Europa nonostante all’inizio della stagione quella squadra venisse data per “spacciata” da praticamente tutti gli addetti ai lavori.
Bene, con quel gesto lui aveva buttato all’aria tutto, perché tra “Lo faccio o non lo faccio”, ha preso l’umiliante ed indegna scelta di agire.
Note a margine:
– Il Bari retrocederà in Serie B ma non verrà accusato in quanto la società fu effettivamente parte lesa;
– Masiello fu acquistato in comproprietà dall’Atalanta, salvo poi essere squalificato per più di due anni;
– Il Lecce fu retrocesso in Serie C per responsabilità oggettiva, rimanendo nella terza Serie per 6 interminabili stagioni;
– Dalle indagini successive, emerse come furono coinvolti altri calciatori biancorossi per altre gare truccate, tutte (meno Bologna-Bari 0-4) partite terminate con la sconfitta del Bari.
– Masiello tutt’ora gioca in Serie A.