Provate a chiedere ad un tifoso del Bari qual è, ad oggi, la stagione peggiore a cui abbia assistito in vita sua: al 90% vi indicherà, con estrema rabbia, il secondo campionato targato Gianpiero Ventura la stagione nefasta in cui qualche piccolo (ad essere gentile) decise di vendersi per accumular qualche soldino in più in banca distruggendo un giocattolo che, fino a qualche mese prima, girava a meraviglia stupendo il calcio italiano dell’epoca.
Nonostante quel paradossale campionato, però, quello stesso tifoso ti indicherà quasi sicuramente un nome, uno dei tanti di passaggio da Bari che è arrivato con tanti proclami deludendo, come al solito, tutte le aspettative: Stefano Okaka.
Come da pochi anni introdotto in Serie A, la prima giornata del nuovo anno si gioca il giorno dell’Epifania e al Via del Mare di Lecce si svolge il primo dentro o fuori della stagione per due compagini che, per motivi diversi, stanno lottando per la salvezza: il Bari di Giampiero Ventura ospitato dal Lecce di De Canio, squadre immischiate nelle zone basse (anzi, bassissime) della classifica con rispettivamente 11 e 14 punti.
L’ultimo Derby era finito in trionfo per i biancorossi, con il Bari guidato dal leccese Antonio Conte che si impose per 1-2 rovinando l’atmosfera di uno stadio festante che già stava pregustando il passo decisivo per la
promozione diretta in Serie A.
Quella vittoria romperà le uova nel paniere della squadra di Papadopulo che si vide costretta a disputare (e vincere) i Play Off contro un sorprendente Albinoleffe ma, soprattutto, convinse la società biancorossa ad investire su un progetto che, soli 12 mesi dopo, darà il risultato atteso da ben 8 anni, il ritorno in Serie A a culmine di una stagione letteralmente esaltante.
30 euro.. in medicine
Nonostante il campionato fino a quel momento assolutamente negativo, un Derby è sempre un Derby e l’eccezionalità di un evento del genere, che non si svolgeva in Serie A da tempo e che, soprattutto, si trattava di un vero e proprio scontro salvezza, con la possibilità di riaprire una stagione battendo i cugini in casa loro, aveva creato un’atmosfera ed un entusiasmo tale da allertare il Prefetto ed il Ministero degli Interni.
E’ il periodo buio del tifo e del calcio italiano che, assieme ad un progressivo calo della qualità in campo sta assistendo anche ad un lento e inesorabile calo degli spettatori: da poco infatti il Ministro Maroni, per evitare nuovi casi Raciti, ha da poco lanciato la famosa e controversa Tessera del Tifoso, condannando inoltre fumogeni, striscioni ed esodi in partite “particolarmente a rischio”, il tutto per garantire più sicurezza sugli spalti e, soprattutto, per prendersi meno responsabilità in caso di incidenti.
Così poi come succederà qualche anno dopo per un altro derby pugliese, dopo aver stilato un attento e meticoloso protocollo di sicurezza, il Prefetto ed il Comitato statale preposto alle manifestazioni sportive diedero il loro lasciapassare per far si che il Derby si giocasse a porte aperte con circa 3500 posti a disposizione per i tifosi baresi (tutta la Curva Sud) a patto che tutti i tifosi accorsi in trasferta fossero in possesso della Tessera del Tifoso, escludendo così buona parte del tifo “caldo” biancorosso che, per scelta, aveva deciso ad inizio stagione di non tesserarsi.
Famoso fu il faccia a faccia tra il Presidente Matarrese ed alcuni esponenti del tifo caldo biancorosso che, poco dopo la decisione del Prefetto, si ritrovarono ad esprimere il proprio disappunto per il divieto ad assistere ad una partita di tale importanza.
Le brutte notizie però vanno sempre “a braccetto”. L’allora Presidente del Lecce Semeraro, fiutando l’affare, decise di sfruttare questa onda d’entusiasmo alzando il prezzo dei biglietti per i tifosi ospiti da circa 15 euro a 30 euro, un aumento totalmente fuori mercato che, in un momento buio come l’economia nostrana di quegli anni, non permise a molte famiglie di assistere al Derby.
Il prezzo assolutamente fuori portata per alcuni tifosi, me compreso, e le restrizioni imposte dal prefetto non bloccarono però l’inevitabile esodo dei baresi che riempirono comunque il settore a loro dedicato, dando vita ad una partita memorabile anche sugli spalti.
Indimenticabile fu uno stendardo di un tifoso che recitava proprio “I nostri 30 euro… in medicine“.
Salento is not Puglia!
I Derby si sa, non sono partite come tutte le altre. I contrasti in campo, i gol ed i risultati fanno solo da contorno ad un evento ben più importante che trova spesso radici storiche, anche ultra centenarie, dove si scontrano diverse realtà con diverse culture e diverse ideologie.
A riprova di questo il paradossale striscione “Salento is not Puglia” comparso nelle gradinate del Via del Mare poco prima l’inizio delle ostilità.
I Salentini bramavano da tempo questa rivendicazione. La cultura, gli usi ed i costumi evidentemente differenti rispetto al resto della Regione hanno da sempre inculcato nella mente dei salentini l’idea di essere una Regione a parte, facendo nascere diversi movimenti che come unico obiettivo avevano l’indipendenza del Salento, ritenuta da molti la “21 esima Regione d’Italia“.
Dietro questi pensieri però, più che senso di appartenenza si un rancore centenario che le atre città Pugliesi nutrono verso Bari, incolpata di essere l’epicentro dell’economia Pugliese e di fare razzia di tutti i fondi statali destinati alla Regione. Negli anni, e tutto ciò è paradossale, questo rancore è riuscito addirittura a legare leccesi e foggiani che in un gemellaggio il cui unico ideale era l’odio verso Bari, un gemellaggio nato e morto nel giro di pochi anni a causa delle evidenti fragili basi su cui era stato costruito.
La mossa “politica” inscenata sugli spalti fu una caduta di stile che, sotto un certo punto di vista, non portò ai risultati sperati: la forzatura dello striscione, che voleva seguire la falsa riga delle manifestazioni ben più storiche e culturalmente fondate del movimento catalano, spaccò la tifoseria in due, portando addirittura alcuni tifosi a “dissociarsi” pubblicamente sui social e sui forum adatti.
Okakao Meravilhao
La duplice caduta di stile, da parte del presidente che decise di “sciacallare” sulla fede degli appassionati e da parte dei tifosi grazie al loro perlomeno discutibile striscione, fu solo il preludio ad una disfatta che cominciò proprio il 6 Gennaio 2011 e si concluse il 15 Maggio dello stesso anno.
La partita mostra sul campo il perché le due squadre si ritrovano a lottare per non retrocedere: lunghe, sfilacciate e individualiste, squadre che soffrono terribilmente la mancanza dei due top in attacco (Di Michele e Barreto) e che danno vita ad una sfida intensa, dura ma anonima.
Da una parte il Lecce, propositivo soprattutto grazie alla spinta del pubblico, che però non riesce a sfruttare la tecnica di giocatori chiave come Piatti, Chevanton e Groesmuller, dall’altra il Bari che grazie al neo arrivato Glik stanno trovando una solidità difensiva che non aveva garantito, nella prima parte della stagione, Marco Rossi. Nonostante la squadra sia deficitaria in tutti i reparti, il problema più grosso per il Bari è l’attacco.
I biancorossi sono da anni alla ricerca da anni di un attaccante top, uno di quelli da far girare la testa e che possano regalare a Barreto un partner degno: ci avevano provato con Maccarone, considerato l’attaccante perfetto e per inseguito per più di un anno invano, poi con Castillo che però pagò l’enorme pressione e l’astio che la piazza aveva riversato su di lui fin dal primo giorno, ma non erano riusciti nell’impresa. Nonostante l’innesto in estate di Ghezzal però, l’occasione arrivo da Roma, sponda giallorossa, dove un giovane italiano di origini Nigeriane stava crescendo a vista d’occhio in una macchina quasi perfetta quale la Roma di Spalletti prima e Ranieri poi, Stefano Okaka.
Forte, con un fisico importante per l’età e con un fiuto del gol che l’aveva portato ad esordire giovane in prima squadra, l’identikit perfetto per un giocatore che, ovviamente, è solo di passaggio a Bari ma che ha l’importante compito di portare la squadra alla tanto agognata salvezza.
28 ore e 32 minuti, tanto è bastato ad Okaka per entrare nei cuori dei tifosi biancorossi: poco più di un giorno da quando si è aggregato ai galletti (acquistato ufficialmente alle 12 del 5 gennaio) e poco più di 20 minuti dal suo ingresso in campo (32′ del secondo tempo, entrato al 11′) per timbrare il cartellino e mandare in estasi il popolo biancorosso e far piangere il Via del Mare. Sì, piangere.
Di solito non credo alle coincidenze ma, di fronte ad uno stadio giallorosso ammutolito, anche il campo non riesce a trattenere “le lacrime”, interrompendo per qualche minuto la partita a causa degli irrigatori automatici che, di punto in bianco, hanno deciso di fare capolino e prendersi per un attimo la scena.
Il Via del Mare con l’acqua ha una strana tradizione nata qualche anno prima quando, in preda all’estasi, uno scatenato Santoruvo ed un giovanissimo Belmonte decisero di impossessarsi di un idrante e buttare litri e litri di acqua sui tifosi biancorossi, festanti e accalorati dopo la vittoria in piena estate del 2008. Appunto, d’estate.
Ecco, ad un Belmonte a cui, dopo il partitone fatto, tutto si sarebbe potuto perdonare, evidentemente non era proprio chiaro quale fosse la differenza tra un gavettone in piena estate ed uno in pieno inverno.
Memore dei vecchi festeggiamenti, infatti, il difensore avrà la geniale idea di replicare quel gesto che, nonostante l’adrenalina, fu una vera e propria doccia fredda per quegli sfortunati tifosi biancorossi la cui unica sfortuna era il ritrovarsi nel posto giusto al momento sbagliato.
Innumerevoli saranno, giorni dopo, le testimonianze di chi si fece un bel bagno ghiacciato fuori stagione: molte di queste testimonianze proverranno dai letti di gente con febbre e addirittura bronchiti a cui Belmonte ha regalato comunque un episodio su cui, anni dopo, gli stessi protagonisti rideranno con piacere.
Quella vittoria sarà solo uno spiraglio di sole in mezzo ad una tempesta che diventerà, settimana dopo settimana, più irrequieta e paradossale.
Okaka, nonostante l’amore scoppiato con la tifoseria che gli dedicherà uno striscione da cui prende il nome l’articolo, dopo quel gol sarà impalpabile: si mangerà un gol nella partita successiva contro il Bologna, bisticcerà con Rudolf per battere un rigore che poi sbaglierà e si infortunerà ad una spalla per poi tornare anzitempo nella Capitale. Da una capitale all’altra però.
Bari, solo qualche mese dopo, si ritroverà ad essere l’epicentro del forse più grosso ed ampio Scandalo di calcio scommesse a livello mondiale della storia (non tanto per numero di partite truccate ma per mole di soldi manovrati), con alcuni giocatori biancorossi in prima linea ed il già citato presidente salentino Semeraro che, per salvare la sua squadra, avrà la terza geniale idea di questa storia, comprare la vittoria del Derby di ritorno condannando così la sua squadra a ben 7 anni di Serie C.
Quando si dice: il cane che si morde la coda da solo.