Lo scorso 22 Settembre l’AIC (Associazione Italiana Calciatori), preso atto della notevole distanza con i vertici della Serie C, ha ufficialmente indetto lo sciopero dei giocatori della Terza Serie Italiana per la prima partita stagionale in programma questo weekend.
I calciatori, spesso visti come mercenari e miracolati, persone fortunate che si ritrovano a tirare calci ad un pallone ed addirittura essere pagate, hanno acquisito nel tempo dei diritti fondamentali che, solo 40 anni fa, erano addirittura impensabili.
Negli ultimi anni, in nome di una crisi economica in cui le categorie più basse italiane riversano praticamente da sempre, molto spesso Società e Lega non si sono fatte scrupoli a calpestare alcuni di questi, soprattutto verso i calciatori più giovani, come forme di mobbing più o meno celate o, addirittura, la normale erogazione di uno stipendio dignitoso, senza dimenticare la presenza di staff e addetti ai lavori, mai davanti ai riflettori, che spesso pagano in modo ancor più caro queste situazioni.
Il “Casus Belli” – La riforma della Serie C 20/21
Chiamata a cercare di “mettete una toppa” alla situazione economia disastrosa in cui si trova, la Lega di Serie C è riuscita a trovare la classica “pezza a colori” che è servita solo a peggiorare la situazione creando un polverone di quelli che non se ne vedevano da tempo.
La crisi finanziaria in cui riversano decine di squadre, peggiorata a causa del blocco dei campionati da marzo a giugno, ha richiesto un intervento deciso da parte della Lega per cercare per lo meno di minimizzare i danni. Tra tutte le possibili contromisure, Ghirelli ed i suoi collaboratori hanno scelto, probabilmente, quella peggiore: riduzione di rose a 22 giocatori con conseguente reintroduzione di limitazioni nell’utilizzo di un certo numero di calciatori professionistici da parte delle varie squade. Tradotto: rose ridotte ed un sacco di calciatori (giovani e non) rimasti senza squadra da un giorno all’altro.
Ad aggravare la situazione ci ha pensato la stessa Lega che ha deciso, ancora una volta, di non attuare le famose “azioni di controllo sui bilanci” delle società permettendo a tutte le aventi diritto di potersi iscrivere con una piccolissima fideiusione. Risultato? Ad oggi ci sono almeno 3 squadre (una per girone) in fortissime difficoltà economiche ed è notizia fresca di ieri che i calciatori e lo staff del Trapani non percepiscono stipendio da circa 3 mesi, promettendo di portare la società in tribunale.
Il primo tentativo di mediazione, durato l’intero pomeriggio di giovedì, è fallito e l’AIC tutta è rimasta ferma nelle sue decisioni, tanto da convincere lo stesso Presidente della FIGC Gravina ad ufficializzare lo slittamento della prima giornata di campionato. Nemmeno la minaccia della Lega, che ha proclamato la sconfitta a tavolino per le squadre che non scenderanno in campo, sembra aver avuto particolari effetti e allenatori e molte società si sono allineate al pensiero dei calciatori.
Nella giornata di oggi ci dovrebbe essere l’ultimo disperato tentativo di recuperare una situazione ormai sfuggita di mano, ma nemmeno nelle più rosee aspettative la situazione si potrà risolvere nel giro di poche ore.
Dovesse diventare ufficiale, questa sarebbe una svolta storica: negli anni sono stati indetti vari scioperi da parte dei calciatori, ma la distanza tra le due parti chiamate in causa non è quasi mai stata cosi ampia. L’AIC ed i suoi tesserati sono pronti ad andare ad oltranza fino a quando non ci saranno delle modifiche da parte della Lega che, nella persona di Ghirelli, si sta giocando la faccia e non solo.
Un po’ di storia: il caso Artico
Negli anni si sono susseguiti vari scioperi dei calciatori, ma questo è stato possibile solo grazie al riconoscimento del rapporto di lavoro tra calciatori professionistici ed i club di appartenenza.
Il primo sciopero, comunque, non partì da giocatori professionisti: nel 1977 si venne a creare un vero e proprio scandalo a Scicli, squadra di Serie D appartenente al Girone I.
Isidoro Artico, Veneto ma Siciliano di adozione, che giocò anche in Serie A con la maglia del Catania, con una gran mossa di coraggio fu il primo calciatore italiano a denunciare prima un trattamento di mobbing da parte della società, poi addirittura un’aggressione subita mentre tentava di svolgere il suo lavoro.
Artico, infatti, fu messo “alla porta” da parte del presidente della squadra siciliana che lo mise fuori rosa sena stipendio e senza potersi allenare o anche solo partecipare alla vita di spogliatoio. A dir la verità in quegli anni era pratica assai diffusa, soprattutto nelle categorie più piccole, ma per paura di ripercussioni nessuno fino a quel momento ebbe il coraggio di denunciare, fino a quel momento appunto perché Artico, arrivato ormai a fine carriera, letteralmente “non aveva niente da perdere“.
L’AIC era già nata da qualche anno, ma mai si era ritrovata a gestire una situazione del genere: tutti i calciatori del Girone I (tranne quelli di due squadre, Nuova Igea-Vibonese) presero la fortissima decisione di scioperare e quindi di non scendere in campo, una mossa fortissima che fu appoggiata in toto dall’AIC che, da quel momento, acquisì non poco peso politico nel panorama calcistico italiano.
Il riconoscimento del rapporto di lavoro e il diritto allo sciopero
Dal 1977 l’AIC si ritrovò a sbattere più volte i pugni sul tavolo contro la Federiazione, acquisendo forza e consensi e, soprattutto, portando a casa risultati che ad oggi sembrano scontati:
– Solo nel 1978 i calciatori acquisirono il diritto di rifiutare una destinazione in ambito di mercato;
– Solo nel 1979 i club furono obbligati a inserire nel proprio organigramma Medici Sportivi, Specialisti e predisporre visite e cartelle sanitarie obbligatorie per i propri tesserati;
– Solo nel 1981 venne debellato il semi-professionismo a favore del professionismo e del dilettantismo e, soprattutto, il Parlamento emanò legge per inquadrare il calciatore professionistico come vero e proprio lavoratore subordinato, sol diritto di maturare pensione e la scelta di scegliersi il club in cui giocare.
Com’è possibile immaginare, il Caso Artico segnò un vero e proprio punto di non ritorno, un evento che cambiò per davvero le sorti dei calciatori (professionistici e non) che da quel momento riuscirono ad ottenere dei diritti fondamentali che tutti diamo ormai per scontato.
Sciopero, un Dejavu per la C e anche il Bari…
Di minacce di sciopero in Serie C, negli anni, se ne sono viste tante. Come detto prima, da parte dei calciatori le mosse messe in atto dalla Lega per contrastare la crisi economica non sono mai state viste come davvero risolutrici della situazione.
Già nel dicembre scorso molte società minacciarono di non scendere in campo contro alcune decisioni della Lega, ma il caso più simile a quello odierno è datato 2013.
Nell’allora Lega Pro, il campionato di terza serie si apprestava alla sua ultima stagione con il vecchio formato dalla Lega Pro Prima Divisione a 2 gironi e della Lega Pro Seconda Divisone (la vecchia C2) anch’essa a due gironi.
Anche in quel caso il fattore scatenante della protesta furono delle riforme che andavano a svantaggiare, e non poco, il tesseramento dei giovani, con degli assurdi premi per le squadre che avessero una età anagrafica media pari a 25-26 anni.
Alla fine, il caso si risolse con un nulla di fatto: le squadre scesero in campo e diedero spettacolo (nel girone meridionale si giocò una bellissima Salernitana-Lecce finita 2-1 per i padroni di casa), ma lo scontento e la sfiducia da parte degli addetti ai lavori costerà poi il posto all’allora presidente Macalli.
Per il Bari però, quello di domenica non sarebbe un unicum. Nel Campionato di Serie A 95/96 infatti, l’AIC proclamò lo stato di protesta: sul tappeto una serie di questioni, su cui primeggiano quella del diritto di voto attivo e passivo nell’ambito del Coni, la minacciata cancellazione della C2 nel nuovo Statuto federale e la partecipazione alle discussioni sul futuro del calcio dopo la sentenza Bosman (fonte storiedicalcio).
In quel caso, non fu trovato un punto di incontro ed il 17 marzo del ’96 la Serie A si fermò per un turno: il Bari, che doveva giocare a Bergamo, si impose poi per 2-1 contro la Dea, ma quel risultato non bastò per salvare la squadra che Fascetti prese per la prima volta in carico nella famosa batosta di Cremona.