In attesa della partita che deciderà quale sarà il destino del Bari, ormai condannato alla retrocessione o ai play-out, ecco il glossario di una stagione maledetta, nata male, evoluta peggio e con una prossima chiusura che potrebbe essere drammatica.
Dalla A di Arroganza e Aurelio alla V di Valerio Di Cesare, passando per i Sette attaccanti, la Mediocrità e l’Improvvisazione, ecco un glossario che, con circa 40 termini tra concetti, nomi e dichiarazioni, riassume una stagione scellerata come quella 2023/24 del Bari. Stagione che, in realtà, per descriverla sarebbero sufficienti solo poche parole, che lascio alla vostra interpretazione.
Scegliere la prima parola con cui aprire questo glossario è stato difficile, ma pensandoci bene mai scelta poteva essere più ovvia. Sì, perché la scelta era tra cominciare con Arroganza o con Aurelio, ma chi segue il pallone da anni sa che queste due parole sono, praticamente, dei sinonimi.
La stagione e soprattutto noi tifosi siamo stati tormentati da questa onta di Arroganza che ha pervaso l’ambiente biancorosso sin dal “ritiro” (messo tra virgolette non a caso) farsa, con dei tranquilli battibecchi (sì, è un ossimoro e ce ne saranno tanti) tra chi a questa squadra ci tiene e chi di Aurelio è figlio. “Vi aspettate che vi porti Messi?”, “Pohjanpalo? Fate i seri” sono state solo le prime dichiarazioni di un anno tormentato che regalerà delle perle seconde solo alla “bassa macelleria” di cui giornalisti e tifosi si son scordati troppo presto. Sì, perché se qualcuno avesse ancora dubbi su come stessero le cose, le dichiarazioni di Padre Aurelio di questo febbraio sconfutarono l’eterno dubbio che ci si portava dietro ormai da anni, cioè che il Bari fosse “la nostra seconda squadra”.
A anche di Aggressione, l’ennesima caduta di stile dell’illustrissimo Presidente che, per il secondo anno consecutivo, ha promesso di “Aggredire il mercato”. Un mercato talmente impaurito ed aggredito che ha concesso al Bari ed al suo Profeta (di cui parleremo dopo) quattro incredibili rinforzi invernali: Lulic arrivato già rotto ed in condizioni precarie, Pusças che, nel colabrodo generale dell’attacco biancorosso, si è ritrovato più volte a boccheggiare che a tirare in porta, Kallon scappato dalla guerra in Sierra Leone, ha commosso più il web per la sua storia strappalacrime che per le sue gesta in campo, e l’irreprensibile Guiebre, arrivato finalmente dopo un anno di avances, con gli stessi giornalisti di Modena che si chiedevano del perché il Bari fosse interessato ad un comprimario del genere, per poi mettere addirittura fuori rosa Aramu. Come direbbe il profeta, che per sua ammissione sta studiando l’inglese, “sciapò!”.
A sta anche per Approccio, quello che da ormai troppe settimane la squadra sbaglia sistematicamente, subendo gol nei primi 15 minuti, parendo totalmente in bambola e scoprendo il fianco ad avversari ed eventi. Approcci che, così facendo, oltre a mandare in vacca un’intera settimana di preparazione alla gara, mettono la stessa in salita, obbligando il Bari a giocare per rincorrere, invece che per vincere.
Bari-Parma di Coppa Italia, Pisa-Bari (Beruatto al 12’), Parma-Bari (Partipilo al 13’), Reggiana-Bari (Girma al 10’), Bresica-Bari (Montini al 11’), Catanzaro-Bari (Vandeputte al 4’), Venezia-Bari (Gytkjaer al 3’, Altare al15’), Bari-Cremonese (aut Maiello al 1’), Bari-Pisa (Calabresi al 3’), Cosenza-Bari (Mazzocchi al 5’, aggiungiamo Tutino al 17’), Cittadella-Bari (Pittarello al 6’), son ben 11 gol subiti nei primi 15 minuti, di cui 5 nelle ultime 6 partite, sinonimo di un approccio terribile della squadra biancorossa rispetto agli avversari scesi in campo già motivati e concentrati.
Per ultimo, A di Autogestione, un teatrino ignobile che va avanti ormai dal 14 aprile, data in cui uno spogliatoio, che dovrebbe essere coeso, incazzato, pronto a dare tutto per salvare la stagione, ha deciso per la terza volta che chi li guidava non andava più bene, dando così vita ad un’autogestione dalle sembianze scolastiche, quando si indiceva (in accordo con la Presidenza) un po’ per fare delle attività extrascolastiche, un po’ per non far nulla.
Sì, per chi se lo fosse perso il Bari al momento (7 maggio del 2024) è in totale autogestione, con a capo sicuramente il Profeta Polito, il capitano Valerio Di Cesare e chi lo segue, e solo in secondo piano gli allenatori Giampaolo e Di Bari, mesti mestieranti che stanno facendo il massimo per riappacificare, unire e calmare un ambiente che è davvero allo sbaraglio.
BARI. BARI. ANCORA BARI.
Non ci può essere altra parola oltre questa, perché il o la Bari siamo noi e nessuno potrà togliercela, nemmeno chi sta cercando in ogni modo di trasformarla semplicemente nella SSC n.2. Non ce l’hanno fatta due fallimenti, figuriamoci due loschi figuri romano-napoletani che è probabilmente la peggior fusione di “razze” che si possa immaginare.
La Bari siamo noi, ed è un sentimento fantastico, anche quando si perde, anche quando si prende la pioggia in 7 mila allo stadio prendendo schiaffi a destra e a manca, anche tornando sconfitti e sconfortati da trasferte il cui viaggio duri 10 ore, ripensando a come sia possibile entrare in campo con approcci molli e svogliati.
Il BARI ci deve accompagnare, e lo spirito dei baresi deve accompagnare questa squadra che il supporto probabilmente non li meriterebbe più. E nonostante sui social stia iniziando già la “guerra tra poveri”, tra chi accusa X di essere una tendagnora e chi fa notare ad Y che “io l’avevo detto già 6 anni fa“, non dobbiamo perdere di vista l’obbiettivo e quella squadra di cui siamo fottutamente innamorati, nonostante ormai siano 30 anni che regali solo delusioni, tranne qualche sprazzo di gioie.
E’ quindi per il Bari che dobbiamo fare qualcosa. Cosa non lo so, è difficile pensarlo in questi momenti di sconforto, ma non possiamo rimanere inermi mentre dei ladri ce lo portano via per fare i loro porci comodi. E no, queste non sono le solite parole che si dicono quando la propria amata sta per retrocedere, bensì son parole di chi ha capito che la situazione non è più sostenibile e la multiproprietà stia praticamente ammazzando ogni impulso che un tifoso possa sentire. No, non ci sto.
C di Confusione, quella che regna da mesi nell’ambiente biancorosso.
Confusione tecnico tattica, data dai 4 allenatori in una sola stagione ed un insieme di calciatori comprati quasi a caso, senza che vi fosse un senso tattico ed umano.
Confusione mentale, che vedremo più avanti, di una squadra in totale balia degli eventi, data anche dai numerosi scossoni in panchina che, come confermato da vari addetti ai lavori e calciatori, non posson che portare, nella testa di un calciatore, proprio una grandissima confusione.
Confusione nelle notizie e nella linea editoriale e comunicativa della società, passata da essere presente (anche grazie al grande lavoro del team comunicativo) ad essere totalmente assente, con poche interviste, pochi chiarimenti ed addirittura un silenzio stampa che oramai va avanti da mesi.
La lista potrebbe continuare, ma sarebbe stucchevole un po’ per tutti. Anche perché potrebbe portare a voi stessi un senso di confusione che, onestamente, ha coinvolto anche la tifoseria.
Ma la C è soprattutto di Ciro Polito, autentico “One man show” di questa stagione.
Polito, che da questo momento chiamerò anche “Il Profeta“, poiché ogni singola dichiarazione uscita dalla sua bocca dal maggio 2023 è andata esattamente… al contrario
Dal “Noi in Serie A ci vogliamo andare” ad i “Sette Attaccanti”, passando per il “Siamo più forti dell’anno scorso”, “Ho fatto 20 videocall per portare Brenno al Bari”, oltre alle varie stoccate insensate verso i giornalisti forse più capaci e coraggiosi della piazza (”Paolino”, riferito a Ruscitto, ce lo ricordiamo tutti), Ciro ci ha regalato delle perle che mai avremmo immaginato di sentire.
Ma tralasciando le parole di un professionista che, specificando di star studiando l’inglese, ha dovuto leggere da un foglietto “fess tu fess” (”face to face”, ndr), continuando poi a ripetere “la verità”, “ti dico la verità” che, chi ha un po’ studiato psicologia sa bene il perché venga ripetuto, il vero “capolavoro” di Polito è stata la gestione a 360° della stagione in corso, partendo dal mercato, finendo alla gestione dello spogliatoio, delle dichiarazioni ed il rapporto con la piazza.
Detto che è evidente in lui la profonda ferita scavata dal gol di Pavoletti, le tre settimane di (meritata) vacanza post 11 giugno non son riuscite a portare il giusto consiglio ad un DS che, evidentemente, aveva bisogno di una pausa: una ferita del genere purtroppo lascia strascichi e sta alla propria maturità capire quando è il momento di fermarsi un attimo.
Polito, che questi pensieri li ha avuti, da quel giorno ne è uscito più debole. Sicuramente ne è uscito “forte” a livello caratteriale (ma solo di facciata, in realtà), e soprattutto a livello di fiducia da parte di tifoseria e società, ma ne è uscito più debole nel resto.
Ha accettato di fare un mercato con meno budget di quanto servisse, dovendosi quindi accontentare di prestiti, trattative estenuanti per togliere un centinaio di migliaio di euro per poi agire nella “Zona Condor“, quella ritenuta da lui la più profittevole (Scuola Galliani) salvo esser preso per il naso da società come il Cosenza. Ha accettato di continuare con Mignani nonostante tra i due non corresse buonissima aria e ha accettato di smembrare uno spogliatoio che soprattutto grazie a lui era divenuto tale (e lo vedremo più avanti). Ha accettato tutto questo conscio di aver una tale fiducia da parte della società da renderlo quasi insostituibile, potendo così diventare la personalità più forte e presente all’interno dell’organigramma biancorosso. Questo è stato l’inizio della fine, perché ha portato il suo ego a livelli altissimi, pensando di poter gestire tutto e tutti. E’ di meno di due anni fa, infatti, un articolo della GdM dove Polito veniva descritto come “Ciro competente, Ciro comandante, Ciro con gli occhi della tigre, Ciro con… due «palle» così. […] Ciro l’uomo solo al comando. Quello che arriva e dice «se ci sono problemi chiamate me, vi rispondo io»“.
Ecco, Polito è diventato schiavo di quel personaggio, sfruttando a pieno i ‘pieni poteri’ che gli sono stati affidati dalla società. Questo gli ha permesso di esprimere il suo smisurato ego, circondandosi sia all’interno dello staff sia nello spogliatoio di persone di fiducia. Tuttavia, questo comportamento ha posto le basi per quello che sembra essere l’inizio della fine, non solo del suo ciclo a Bari, ma probabilmente anche delle sue ambizioni di una carriera calcistica a medio/alto livello.
C sta anche per Caprile e Cheddira, il duo irresistibile che ci ha portato ad un passo dalla Serie A e che è stato al centro di una telenovelas calcistica che a queste latitudini non si viveva da tempo.
Autentici mattatori della scorsa stagione, che Caprile e Cheddira dovessero partire era ormai scontato, non tanto perché sia ovvio che due calciatori che si sono imposti in questo modo in cadetteria debbano salire subito di categoria, quanto perché era evidente che non ci fosse alcuna volontà di trattenerli. Perché? Perché avrebbe significato spendere tanti soldi per adeguamento di contratti e perché una plusvalenza del genere non si poteva mettere a rischio. Ah già, dimenticavo un piccolo dettaglio: perché conveniva sia al Bari, ma soprattutto al Napoli, dato che si è assistito ad un vero e proprio sciacallaggio da parte della SSC n.1 verso la SSC n.2.
Le cifre ad oggi sono ancora ignote, e lo saranno per un altro anno, la ciò che è successo questa estate è solo l’apice di una gestione delle due società a senso unico, che vede il Napoli spremere al massimo il Bari a costo praticamente 0 per i tornaconti della società più grande ed importante, il tutto a causa di una sola, quasi vomitevole, parola: multiproprietà.
Ah dimenticavo, c’è anche la C di Caldaia.
Aurelio lo conosciamo, è diventato un personaggio forte grazie soprattutto alle sue capacità comunicative, spesso inopportune, pronte a far discutere ed addirittura a creare scossoni politici nel famigerato “palazzo”. Che quindi ogni tanto “pisciasse fuori dal vaso” ce lo potevamo aspettare. Che però, quest’anno, la sua figura diventasse così tanto ingombrante da diventare fastidiosa, causa uscite infelici a tratti immotivate, quasi da sembrare in realtà “scientifiche”, probabilmente nessuno se lo sarebbe mai immaginato.
Della “bassa macelleria” ci ricordiamo tutti, concetto che non merita nemmeno commento per quanto sia, a sua volta, di una bassezza disarmante, ma le uscite che hanno fatto infuriare la piazza (e lasciato sgomento l’intero calcio italiano, a dire il vero, nonché il suo figlio) riguardo il ruolo che la società barese svolge nel ristretto mondo di Filmauro, sono di una gravità inaudita, condita ancor peggio da ulteriori dichiarazioni, che potremmo benissimo definire “di guerra”, da parte del Luigi.
Considerare per Bari “un vanto la Serie B”, riparlare di “aggressione al mercato” dopo aver citato “che volete Messi?” quando, a ragione, in ritiro qualche tifoso gli faceva presente di aver bisogno di un bomber di categoria, ha solo reso un ambiente deluso ancor più arrabbiato e scoglionato, perdonatemi il termine.
Chiunque abbia visto questo Bari giocare negli ultimi 3 mesi si è fatto questa idea, cioè che nella testa dei giocatori, in campo, ci sia effettivamente un encefalogramma piatto. Lo si vede dai volti, impauriti se non spesso persi nel vuoto, lo si vede dai movimenti e dai continui errori che ormai da settimane si ripetono, imperterriti. Lo si capisce anche dalle dichiarazioni, perché potrai anche avere solo la terza media, ma quando ti fanno notare che i tifosi hanno cantato “Meritiamo di più” dopo una prestazione opaca non puoi uscirtene con un “Eh sì, lo sappiamo che avremmo meritato di più oggi in campo” (citazione di Nasti in un post partita).
Nessun minimo segno di reazione, bensì una preoccupante rassegnazione che sta portando risultati sconfortanti.
E’ incredibile come con una singola parola si possano descrivere concetti tanto simili quando diversi tra di loro, sia per interpretazione che per contesto. E’ il caso della Fatica, quest’anno spesso tirata in causa per molti motivi:
La fatica fisica, figlia di una preparazione estiva non adeguata, sia per la tardività con cui sono arrivati i rinforzi (molti a fine mercato, dopo essersi allenati per tutta l’estate a parte), sia per le condizioni precarie di alcuni calciatori, reduci da infortuni più o meno gravi, sia per l’appunto per una preparazione che non è stata precisa e puntuale come l’anno scorso, quando a fine ritiro Mignani ed il suo staff potevano lavorare con praticamente il 90% della squadra con cui avrebbero affrontato il campionato.
La fatica fisica, però, è spesso accompagnata da una fatica mentale, che anche in condizioni atletiche ottimali può bloccare le gambe rendendole più pesanti. E’ il caso di Puscas, boccheggiante fin da gennaio anche dopo soli due scatti. Ovvio che, in certi casi, la problematica non sia solo fisica, e oltre a lui accade anche ad altri calciatori, ecco che due indizi fanno una prova.
Inoltre questa squadra ha fatto enormemente fatica a capire, ad un certo punto, che l’obbiettivo play-off non fosse più alla portata e che quindi si dovesse guardare indietro invece che avanti. Buona parte della colpa ce l’ha anche Iachini, che come vedremo tra poco ha imposto a se e agli altri le sue mirabolanti vittorie passate, senza capire che la situazione barese era molto più disperata rispetto al passato, altre colpe invece ce l’hanno staff e calciatori che, cocciutamente, hanno continuato a pensare di essere una squadra forte che poteva ambire alla A.
Questa fatica invece non l’ha avuta la tifoseria che, ad un certo punto, ha aperto gli occhi e capito che l’aria si stava facendo amara, motivo per il quale c’è stata un’altra fatica, quella di affezionarsi a questa squadra in cui non ha trovato i principi per far scattare la scintilla.
Per ultima, la fatica nello star zitti. Da piccolo mi hanno insegnato che spesso è meglio una parola in meno rispetto ad una parola in più, ma questa virtù evidentemente non è molto diffusa, per lo meno all’interno dell’ambiente biancorosso. Delle dichiarazioni abbiamo già parlato, ma anche nelle discussioni pacifiche, a microfono spento, è emersa questa problematica.
Partiamo da mister Iachini, terza vittima sacrificale di una squadra ed una società che arriva a Marzo in totale confusione. Scelta, quella di Iachini probabilmente saggia, data l’esperienza ed il carisma di un allenatore che, fin dall’inizio, si culla delle sue vittorie passate citandole non appena possibile, ma che si rivela un’arma a doppio taglio dopo un’inizio addirittura trionfale, con due vittorie consecutive (contro le ultime due della classe) ed una squadra che lo porta in trionfo a fine della seconda gara.
Curioso pensare che proprio quella squadra che l’ha portato in trionfo, due mesi dopo convincerà il DS Polito ad esonerarlo in una riunione privata d’urgenza presso la sua abitazione, una rievocazione storica della Settimana Santa che denota quanto l’ambiente Bari nello spogliatoio sia marcio, un ambiente in cui se non giochi hai la possibilità di mettere sulla graticola un allenatore perché “a me non piace”.
C’è da dire che Iachini nell’ultimo periodo ci stava capendo poco. Strenuo amante del 352 ha provato, dopo un periodo di rodaggio, ad impostare questo modulo di gioco ad una squadra che, pian piano, ha deciso di non assecondarlo più credendosi salva. Peccato che risultati e classifica non erano dello stesso avviso.
Un altro Giuseppe, poi, è stato assoluto protagonista di questa stagione, cioè Sibilli, mattatore e trascinatore tecnico di una squadra che senza di lui sarebbe probabilmente ultima. Bello, bravo, bis, peccato che i complimenti per lui finiscono qui.
A Pisa in molti lo amavano, proprio perché le doti tecniche e di cuore sono evidenti, ma allo stesso tempo in cuor loro sapevano che, probabilmente, non fosse pronto ad una B di alto livello e quest’anno ha dimostrato perché.
Arrogante, spocchioso, incazzato e litigioso con i suoi compagni. Sui suoi piedi c’è l’errore probabilmente più importante e pesante della stagione (il rigore contro la Samp), ma son dell’opinione che sbaglia solo chi fa, quindi è ingiusto fargliene una colpa.
La sua unica colsta sta semplicemente nel suo essere.. Sibilli, croce e delizia di un calciatore dotato tecnicamente che, come l’amichetto che gioca alla scuola calcio, quando date due calci ad un pallone per strada decide di far tutto da solo perché è il più forte, intestardendosi in dribling inutili, perdendo palle pericolosissime e prendendosela con tutti quando non capiscono le sue palle illuminanti che, invece di spedirti in porta, ti spediscono vicino la bandierina a lottare contro tre avversari.
Dopo quell’errore con la Samp è finita la sua stagione d’oro, facendo spazio a quella nervosa e scorbutica, quella parte di Sibilli che non gli ha mai permesso (e chissà se glielo permetterà mai) di fare il salto di qualità.
Quest’anno, come non mai, il peso della scelta presa dal Sindaco nel lontano 2018 si è fatta sentire, con il Bari dei DeLa ad un passo dal baratro mentre il Como degli Hartono è ad un passo dal paradiso. Ironico.
Dietro quella che sembrava solo una ‘brochure di sigarette elettroniche‘ — confermata comunque anche dai giornalisti presenti, mentre dalla sponda indonesiana non è stata proferita parola — si nascondeva in realtà il sogno di ogni singolo tifoso barese: si trattava del gruppo imprenditoriale più importante e ricco dell’intero panorama calcistico italiano, inclusa la Serie A. Questo gruppo, dopo tre anni di assestamento (simili al nostro famosissimo ‘piano triennale’, sì sì come no), ha deciso di fare sul serio quest’anno e di affondare il colpo. Ha portato sulle sponde di quel ramo del lago non solo un progetto serio, ma anche una serie di calciatori e tecnici di calibro, con l’obiettivo di puntare seriamente alla massima serie. Nel frattempo, dalle nostre parti, si affonda sulle sponde del ramo del Chiringuito.
I di Infortuni, che fin dall’inizio della stagione hanno colpito una rosa già di per se scarna (e scarsa). La cronistoria dei soli infortuni “gravi” è impietosa:
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21 agosto 2023, il Bari perde dopo dieci minuti Diaw. Infortunio muscolare che lo terrà ai box per un mese abbondante;
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21 agosto 2023, il Bari perde Menez a causa di una Rottura del legamento crociato successiva ad uno scontro di gioco. Fuori 5 mesi salvo dare successivo forfait a seguito di continui dolori dopo il suo ritorno;
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26 ottobre 2023, il Bari perde Maiello a causa della Rottura del legamento crociato, fuori 5 mesi ma mai tornato stabilmente in campo;
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7 dicembre 2023, il Bari perde nuovamente Diaw, questa volta a causa di un’ernia lombare che lo terrà fuori fino a fine Marzo. Tornato titolare (a sorpresa) contro la Cremonese dopo un suo forfait voluto alla fine della partita precedente, di nuovo ai box per il riacutizzarsi del dolore. Stagione probabilmente finita;
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12 gennaio 2024, il bari perde Koutsoupias a causa della Rottura del legamento crociato dopo uno scontro di gioco in allenamento. Stagione finita
Questi infortuni si aggiungono ai vari acciacchi stagionali che hanno colpito vari giocatori tra cui Maita (3 infortuni muscolari diversi, con quello del 5 maggio che rischia di concludere anticipatamente la sua stagione), Morachioli e l’incredibile infortunio di Pusças, fermato da una frattura alla mano che, prim’ancora di essere operato, ha portato lo stesso calciatore rumeno a salutare tutti e fargli un grosso in bocca al lupo per la fine della stagione, “congedandosi” ufficiosamente salvo poi tornare dopo 1 settimana di degenza. L’infortunio più assurdo però rimarrà quello di Yaya Kallon, fermato da un infortunio al ginocchio in una partita in cui ha giocato 5 minuti toccando 4 palloni, salvo poi tornare miracolosamente vivo, ed addirittura titolare, appena dopo l’esonero di Iachini, mister con cui aveva perso il posto.
Se però dovessi scegliere la mia I personale, allora punterei tutto sull’Improvvisazione. Sembra assurdo, soprattutto per una società di calcio professionistica con più di 115 di storia, ma questa stagione è stata semplicemente figlia dell’improvvisazione. Dal mercato al campo, passando per le scelte degli allenatori e le conferenze stampa, un’improvvisazione patetica che ha reso l’ambiente sempre più distaccato ed ostile, dopo averlo fatto sognare solo qualche mese prima. Un’improvvisazione sembrata a tratti “scientifica”, figlia però di quell’arroganza che ha colpito tutti, dalla Dirigenza allo Staff, passando per i calciatori.
La “ciliegina sulla torta avvelenata” come qualcuno ha detto nelle varie trasmissioni, poi, è l’improvvisazione tecnica, quella che dal 14 aprile in poi, data dell’esonero di Iachini, si è avuta sul campo. Improvvisazione che, in realtà, è semplicemente una patetica autogestione di chi pensa di poter fare tutto da solo mentre, nello spogliatoio, pugnala di nascosto un altro compagno ormai poco compagno. Un’improvvisazione che porta addirittura Maita a parlare di “una squadra creata per gli esterni”, avallando quindi la scelta del esonero di Iachini, salvo poi, due giornate dopo, ritornare ad un centrocampo formato da 4 centrocampisti centrali perché, dopo vari tentativi, è diventato evidente che questa squadra con gli esterni non può giocare, poiché si crea una spaccatura imbarazzante tra difesa e attacco. Questo si crea a causa dei fenomeni sulle ali che, quasi sempre, decidono di non arretrare per fornire la necessaria copertura difensiva. Questa lacuna era stata riscontrata quasi subito da Mignani prima e Iachini poi, entrambi fatti fuori da una parte dello spogliatoio.
Quando a fine mercato si analizzano le squadre, gli addetti ai lavori oltre a valutare l’arrivo di nuovi calciatori e la partenza di altri cercano, per lo meno sulla carta, delle Lacune che potrebbero creare non pochi grattacapi durante la stagione.
Chi seguiva il Bari nella stagione 14/15 si ricorderà come quella squadra, che sembrava ben assortita, in realtà aveva un grosso, grossissimo problema a centrocampo, dove vi erano solo 5 giocatori, nemmeno di primissimo livello, per 3 ruoli.
Allo stesso modo, fin da fine Agosto erano evidenti delle grosse lacune che, in fase di mercato, non erano state colmate.
Per prima cosa una evidentissima lacuna fisica, soprattutto a centrocampo, dove la maggior parte degli interpreti peccava di centimetri e di peso.
Un’altra lacuna enorme si ritrovava nelle punte centrali, lacuna poi esasperata dall’infortunio lampo di Diaw, costringendo Nasti e Akpa a dover fare gli straordinari in più occasioni.
Infine una lacuna a livello di leadership, con tante mezze figurine, poco esperte e poco carismatiche che non son riuscite a creare un gruppo e prendersi in mano la squadra quando ve ne era bisogno.
Queste lacune, che tra l’altro non sono state incredibilmente colmate nel mercato di gennaio, hanno fatto si che la squadra si sgretolasse pian pianino, sia dal punto di vista tecnico-fisico che dal punto di vista mentale.
Sportivamente parlando, prendendo in considerazione questa stagione si può parlare quasi solo quasi solo di Mediocrità.
Mediocrità dal punto di vista tecnico, dove il solo Sibilli è riuscito ad imporsi in modo determinante grazie alle sue serpentine da solista;
Mediocrità dal punto di vista caratteriale, dove l’unico ad essere sempre focalizzato rimane l’eterno capitan Di Cesare, mentre gli altri osservavano inermi per dodici partite gli avversari segnare nei primi dieci minuti, salvo poi cominciare a bisticciare tra di loto. Plateale, a mio parere, la camminata di Pucino, al terzo minuto della partita a Cosenza, dove per andar a prendere il pallone da rimettere in gioco da rimessa laterale si persero non meno di trenta secondi, invece di mangiarsi il campo nella “partita della vita” che avrebbe potuto portare il Bari alla salvezza.
Mediocrità dal punto di vista tattico, in una stagione in cui abbiamo visto più moduli che prestazioni convincenti. 4312 con Mignani, 433 con Marino, 433, 352, 3412, 442 con Iachini, 4231, 442 con Polit.. ehm con Giampaolo, senza considerare tutti i moduli intermedi “estemporanei” utilizzati a partita in corso. Una mediocrità tattica figlia della già citata confusione, ma anche dei modestissimi valori tecnici su cui ogni allenatore ha dovuto fare affidamento;
Ma la M è soprattutto quella di Michele Mignani, autentico mattatore delle due stagioni trionfali che hanno portato il Bari ad un passo dal miracolo. Vero, le accuse mosse verso di lui per un’eccessiva prudenza, in campionato e nei play-off, ci possono stare (anche se non le condivido pienamente), ma se c’è una virtù che portava Mignani all’intero ambiente Bari era la calma ed il carisma. La calma era ciò a cui ci aveva abituati (anche se non erano rare le sue sfuriate a bordocampo o negli allenamenti), tanto da riuscire ad imprimerla ad una squadra che calma nelle prime due stagioni in C non ne aveva mai avuta, tanto da toppare sempre le partite più importanti. Carisma, invece, perché se c’era una persona che riusciva a tenere unito uno spogliatoio a rischio deflagrazione, era proprio Michele Mignani. C’è riuscito quando, dopo le due sconfitte consecutive con Messina e Campobasso, l’ambiente era al limite di una crisi di nervi pericolosissima, c’è riuscito con la gestione di uno spogliatoio difficile, dal carattere di D’Errico all’evidente “saudade” di Botta della stagione scorsa, oltre alla gestione tecnica e mentale su calciatori che difficilmente riuscivano a vedere il campo, oltre al recupero record fatto con Mazzotta, passato da essere un fuori rosa ad addirittura titolare, nel giro di due settimane, ci stava riuscendo anche questa stagione, nonostante una rosa povera tecnicamente e scarica mentalmente. Ecco, questo era Michele Mignani, un allenatore sicuramente non amato da tutti, ma la cui figura a questo Bari, da ottobre in poi, è mancata terribilmente.
Per ultima, ma non per importanza (anzi), la Multiproprietà, concetto ormai entrato giornalmente nelle discussioni dei tifosi e dei giornali.
La Multiproprietà che sta diventando sempre più diffusa a livello europeo, con varie squadre in vari paesi gestiti dalle stesse proprietà, ma che rimane un Unicum in Italia dato che, al momento, è l’unico paese in cui è presente il concetto di multiproprietà oltre la gestione del team U-23 nelle serie minori.
La multiproprietà all’italiana è la morte del calcio, è l’emblema di un paese sportivamente allo sbaraglio che permette di avere questa gestione mortificante per chi ne è vittima (cioè i tifosi) e che rischia di creare dei precedenti sportivi pericolosissimi. E’ andata bene con la Salernitana, è andata “bene” con il Bari, che alla fine in A non ci è andato, ma non ci si potrà rimanere ostaggi per altri 4 anni, cioè fino al 2028 termine ultimo per possedere due team con la stessa proprietà.
La La multiproprietà crea solo tensioni e retropensieri, non permette di sognare ed è diventata ormai insostenibile, sia per i tifosi che per parte dei calciatori, che questo clima ostile lo sentono. La multiproprietà, però, diventa anche mortificante, perché come confessato da un agente vicino ad Edjouma in estate, è consigliabile venire a Bari perché “sono la seconda squadra del Napoli, i campioni d’Italia”, un discorso svilente ed imbarazzante che butta all’aria 115 anni di storia, ostaggi di un’azienda che pensa solo ai profitti del proprio gruppo e della SSC n.1.
Bene, è arrivato il momento di dire basta, ualunque sia l’epilogo di questa stagione. Bisogna dire basta con forza e fermezza alla multiproprietà (e, a riguardo, mi sento di dire grazie ai tifosi del Parma che, nella gara in cui hanno potuto festeggiare ciò che noi non vediamo da ormai venti anni, hanno pensato bene di esserci solidali in questa lotta), è arrivato il momento di chiuderla qui, di chiuder la stalla, tanto i buoi son scappati, ed andarsene, per il bene di tutti
In una delle (poche) cadute di stile di Di Cesare, si è fatto riferimento alla Negatività, un riferimento che c’era già stato due anni prima nella famigerata stagione di Auteri, che stava riemergendo nelle prime partite di questo campionato, in un momento a dire il vero ancora abbastanza calmo.
La negatività, sì, di un ambiente passionale e deluso, un ambiente stanco delle continue prese per il culo, dei due fallimenti, delle umiliazioni prese a destra e a manca, partendo dalla famosa sconfitta del “Magnat’v o cazz” a Torre del Greco, un ambiente che non vive la gioia della Serie A da quasi 15 anni, scottata dal caso calcioscommesse, dalle cordate senza corda e che ha visto la propria squadra diventare una colonia Napoletana, composta da persone che a malapena riescono a parlare un italiano corretto.
Questa piazza, sì, è diventata negativa. E’ diventata negativa perché ad Ottobre e Novembre aveva già capito tutto. Aveva già capito che i “sette attaccanti” citati dal Profeta non esistevano, aveva capito che era diventata davvero la “Bassa Macelleria” di un gruppo interessato solo a far soldi, una piazza che dopo l’ennesima delusione l’11 giugno non merita di essere ulteriormente umiliata retrocedendo sul campo in C, cosa che non accadeva da decenni.
Sì, siamo negativi Di Cesare, d’altronde stiamo andando benissimo, no?
O di Orgoglio, quello che questa squadra non ha mostrato mai, soprattutto se confrontato con quello della tifoseria che, nonostante gli schiaffi presi a destra e a manca, non l’ha mai messo da parte.
Un orgoglio che gli 11 in campo non sono mai riusciti a tirar fuori, anche mentre venivano scherzati e presi a pallate da avversari che quell’orgoglio, invece, ce lo avevano eccome.
Un coro cita “Orgogliosi di essere Baresi, in qualunque stadio andrai, gli Ultras della Curva Nord ci troverai”. Tralasciando che quel gruppo non esiste più, anche quest’anno la partecipazione in massa in casa e trasferta dei tifosi è stata commovente, orgogliosa ed innamorata, mentre sul campo i fortunati ad indossare quella maglia battibeccavano e si lamentavano delle contestazioni e fischi che, da un certo punto della stagione, son diventati sottofondo comune delle partite del Bari. In questo caso, prima delle lamentele, si esce l’orgoglio, ma a quanto pare nessuno dei 26 tesserati biancorossi ne ha uno degno della “grande piazza” che citano continuamente (mentendo) durante le interviste.
Se c’è una parola che abbiamo sentito nelle ultime settimane dagli addetti ai lavori non baresi, quindi distaccati e non propriamente informati su ciò che sta accadendo, allenatori compre, è Paura. Quella che si vede in volto alla maggior parte dei calciatori da ormai qualche settimana. Quella Paura che ti blocca le gambe, che non ti fa rendere al massimo e, anzi, che ti porta ad errori grossolani come quelli che abbiam visto, fin dal primo momento, ad esempio con Brenno.
Quella Paura che prima ha bloccato testa e gambe dello Spezia per praticamente 2/3 del campionato, poi ha bloccato le nostre, squadre non abituate a lottare per salvarsi che adesso sono impantanate in una situazione complicatissima e pericolosissima. Quella stessa paura che, negli occhi e nella testa di molti tifosi, si è materializzata giorno dopo giorno da quel maledetto 11 giungo che, sportivamente parlando, è stato l’inizio della nostra fine.
P anche di Pasquale Marino, seconda vittima sacrificale della stagione, chiamato dal Profeta dopo esser stato suo giocatore nel Catania e considerato come “professore del calcio”, un calcio che però da quel lontano 2006 si è evoluto, e non poco.
Arrivato con la sua esperienza e la sua flemma, cambia subito metodo di gioco puntando sugli esterni che però…. non esternano. Mai un dribling, mai un cross fatto bene, giocano tutta la fascia ma non risultano incisivi né in fase offensiva né in fase difensiva.
Emblema della gestione Marino è il 3-3 di Salò, con il Bari in vantaggio di 2 che viene accostato e superato dalla penultima in classifica, salvo pareggiare per il rotto della cuffia con Achik. Scena simile, poi, ad Ascoli, con un Bari finalmente incisivo (contro un avversario scarso) che si fa rimontare da 0-2 a 2-2 rischiando addirittura di perderla. Fatale per lui la sconfitta senza storia di Palermo.
Infine vorrei parlare dell’obbiettivo minimo stagionale, quello dei Play-off, che si è tramutato pian piano in un obbiettivo massimo, quello dei Play-out. Parole simili, risvolti totalmente opposti.
Fin dall’inizio del ritiro abbiamo visto un gruppo voglioso di raggiungere un obbiettivo, e mentre Mignani, Polito e Luigi De Laurentiis si tenevano bassi con le aspettative, anche a causa dell’inesperienza alcuni giocatori giovani si mostravano fiduciosi di raggiungere la massima categoria rilasciando dichiarazioni esplicite sul come “sono venuto a Bari per andare in Serie A”.
Bene, bravi, obbiettivo chiaro ed in linea con quello che un tifoso vorrebbe e vorrebbe sentirsi dire. Se però i così detti “volponi” evitano sempre di esporsi così esplicitamente, e no, non è la semplice superstizione (che comunque male non fa), bensì per tener basse le aspettative proprie, della squadra e dell’ambiente. Motivo? Basti guardare Spezia e Palermo, entrambe partite con l’idea di ammazzare il campionato, entrambe che hanno completamente toppato fin dall’inizio. Il Palermo comunque è lì su, nonostante una squadra costata decine di milioni, mentre lo Spezia è impantanato nella lotta per non retrocedere da inizio stagione, arrancando nonostante l’enorme tasso tecnico a disposizione dei vari allenatori che si sono succeduti.
Gli addetti ai lavori sono tutti d’accordo nel sottolineare che, quando una squadra si ritrova a lottare per non retrocedere pur avendo avuto, all’inizio dell’anno, aspirazioni ben diverse, è molto probabile non riuscire ad adattarsi adeguatamente ad una lotta tanto sporca, stancante e disperata come quella per la salvezza. Questo è esattamente ciò che sta accadendo al Bari, che si trova completamente in balia degli eventi e incapace di reagire adeguatamente.
Chi mi conosce lo sa, i Retropensieri son tutto ciò che più odio nel calcio, soprattutto dopo la mia cocente battaglia lo scorso anno contro chi continuava a dire che “in A non ci vogliamo andare”. Quest’anno, però, ci sono talmente tante cose che puzzano di merda che è impossibile mettere a tacere certe voci che ti martellano la testa, anche perché, se è il tuo stesso presidente ad ammettere che il Bari è la seconda squadra del gruppo, come vuoi fare? Ne cito solo alcuni, i più diffusi:
- ”Le perdite del Bari servono a consolidare il bilancio del gruppo”. Detta così, per i meno esperti, può sembrare una sciocchezza, ma economicamente è una teoria che ha il suo senso, potendo sfruttare le perdite di una controllata per pagare meno tasse con un’altra azienda in profitto;
- ”Ma questi ci vogliono andare davvero in Serie A?”, una affermazione che, letta nello stesso periodo lo scorso anno, avrebbe fatto sorridere, salvo poi aprire un vero e proprio dibattito in cui sia chi la avalla, sia chi la smentisce, ha le sue ragioni. Conviene andare in A per poi esser venduti a prezzo di saldo nel giro di 2 mesi? Conviene andare in A spendendo milioni su milioni per fare una squadra competitiva? Conviene andare in A quando la SSC1 può usarci (mio Dio che brutto termine) come fucina per i suoi giovani? E vuoi vedere che Folorunsho non era rotto davvero ma messo ai box per non rischiare? (questa teoria è molto pittoresca, ma per dovere di cronaca la cito);
- ”Il titolo sportivo è stato assegnato nel modo giusto?” – Su quest’ultimo punto ci riattacchiamo al discorso Hartono, perché quella volente o nolente sarà una ferita destinata a rimanere aperta per molto, moltissimo tempo. Sappiamo tutti che i DeLaurentiis si sono affacciati a Bari dietro una forte raccomandazione del Sindaco De Caro, Sindaco che si è trovato nella infelice situazione di dover decidere il futuro della squadra della propria città dopo due fallimenti nel giro di 5 anni ed una grossissima presa per il culo chiamata Dato’ Noordin, ma siam sicuri che non si poteva fare di meglio? Qualcuno parla di favori politici, altri parlano semplicemente di sicurezza (perché, tra tutti coloro che si erano affacciati, effettivamente i De Laurentiis erano quelli che infondevano più sicurezze, per lo meno dal punto di vista sportivo), di sicuro dopo 6 anni quella scelta si è rivelata infelice, per i motivi che sappiamo tutti.
Ma se c’è una R protagonista quest’anno, allora è quella dei Ritiri: dal ritiro farsa di Roccaraso ai vari ritiri “punitivi” o di gruppo che si sono susseguiti da dicembre in poi, siamo arrivati a ben 3 ritiri, quelli che servono “per fare gruppo” ma anche per farti capire che “l’aria è amara”.
Andando per ordine, il ritiro estivo di quest’anno è stato secondo solo a quello del Bari di Giancaspro, quando la squadra partì già sapendo che la società, di lì a qualche settimana, sarebbe scomparsa. Un ritiro iniziato a Luglio con 25 giocatori, ma con soli 11 di questi che faranno parte della squadra ad inizio campionato, con vari primavera aggregati per far numero, un numero imbarazzante di rientranti dai prestiti in C e di giocatori in uscita, in attesa di risolvere i vari problemi di rosa inaccettabili al 14 luglio. Un ritiro fatto di domande, tante, e di risposte, poche, per lo più arroganti da parte dei soliti noti, con il benestare “silente” dei giornalisti affiliati e non, che con il classico “è ancora presto per giudicare” hanno tirato la carretta fino a febbraio, momento in cui si è capito l’andazzo di questa terribile stagione.
E’ poi la stagione dei ritiri post sconfitta, il primo a dicembre dopo l’umiliante sconfitta a Lecco, gli altri arrivati da aprile in poi quando la squadra ha deciso di autogestirsi, convinta di saper cosa fare. Si è perso il conto, perché tra ritiro a Bari, a Modugno, a Matera, ad Altamura, poi di nuovo a Bari i calciatori hanno, tecnicamente, passato più tempo in Hotel che a casa con le proprie famiglie.
Sperando, sempre, che all’ultimo soffio non compaia un’altra parola simile alla prima, che comincia sempre con R.
S-E-T-T-E-A-T-T-A-C-C-A-N-T-I, avete capito bene, e se non lo avete capito dagli audio che son girati sulle varie chat, ve lo ripeto anche in conferenza stampa, perché noi abbiamo S-E-T-T-E A-T-T-A-C-C-A-N-T-I.
In ordine:
- Davide Diaw, colpo del mercato estivo, erede perfetto di Cheddira. Fuori da Dicembre. Totale ad oggi: 5 gol.
- Marco Nasti. Celebre per aver rotto il naso ad un suo compagno di Nazionale U-21. Buon attaccante comprimario di categoria (d’altronde è ancora ventenne) con movenze interessanti ma ancora molto acerbo e testa calda. Totale ad oggi: 6 gol.
- George Pusças, arrivato anche lui come colpo del mercato, stavolta invernale. Vittima sacrificale di una squadra che da gennaio in poi a malapena supera il centrocampo, arrivato per sua stessa ammissione per prepararsi al meglio per l’europeo, in evidenti condizioni fisiche precarie e sovrastato continuamente da 1/2 avversari che, a giro, gli ballano sopra la testa. Totale ad oggi: 4 gol;
- Jeremy Menez, “Colpo da 90 del mercato”, “Il Bari ha il suo fuoriclasse”, arrivato per portare classe e assist, con l’arduo compito di sostituire due pezzi grossi del Bari della scorsa stagione (Antenucci e Botta), rottosi per contrastare un giocatore del Palermo con il Bari in 9 uomini e stagione finita ancor prima di cominciare. Dal suo ritorno solo tanti sbuffi, supponenza e animi tesi. Totale definitivo: 1 assist;
- Gregorio Morachioli, l’ennesima scoperta del Polito ispirato della scorsa stagione, giocatore ancora acerbo che ha però nelle sue gambe tanta corsa, dribling ma ancora pochi tiri e cross determinanti. Non di certo una stagione facile per lui, per vari motivi. Totale ad oggi: 1 gol;
- Ismail Achik, arrivato negli ultimi giorni di mercato dopo un corteggiamento durato praticamente un anno. Giocatore molto acerbo, gracilino e con evidenti limiti strutturali, la sua dimensione ad oggi è la C e si vede. Totale ad oggi: 1 gol;
- Mattia Aramu, arrivato per grazia divina dal Genoa, mossa della disperazione dopo l’infortunio di Menez, Bari per lui è l’ultima scelta e si vede: tempi biblici per la conclusione dell’affare, mai calato mentalmente nel progetto, di lui ci si ricorderà solo dell’incredibile esclusione dalla lista over a gennaio per far spazio a Guiebre e l’aver rifiutato ogni altra alternativa al Bari. Totale ad oggi: ha fatto meno gol di un giovane della Primavera;
- Yaya Kallon, arrivato a gennaio dal Verona anche lui dopo un lungo corteggiamento. Come dicono in molti “coi piedi al contrario”, Kallon è il classico esterno di Serie B da confusione: entra per creare confusione e correre, salvo poi non concludere niente. Nessun gol, nessun assist, nessun dribling, solo finte per tornare sul sinistro e sbagliare ogni singolo cross o tiro partito dai suoi piedi. Totale ad oggi: 0.
In 8 non riescono a fare i gol segnati da soli due attaccanti dello scorso anno, cioè Cheddira (17) e Antenucci (9).
Le statistiche vengono alzate solo da Sibilli, che attaccante non è, capace di segnare 10 gol.
C’è poi Spogliatoio, quello che in questa stagione non si è mai creato. Lo spogliatoio, che per la Treccani è “un piccolo ambiente contiguo alla camera da letto, in cui ci si spoglia, si cambiano abiti e indumenti” nel calcio è molto di più, è un luogo considerato “Sacro”, sia perché è in quello spogliatoio che ci si mette a nudo (in tutti i sensi), sia perché è il primo luogo in cui una Squadra, con la S maiuscola, si forma.
Le fortune degli scorsi anni del Bari si erano create lì, proprio nello spogliatoio, si erano create per merito di due uomini al comando, Polito e Mignani, e di alcuni condottieri che dopo anni di sofferenze erano riusciti finalmente a fare gruppo, Di Cesare, Antenucci e Frattali, aiutati poi da altri senatori come Maiello e Pucino. Beh, non è un caso che con l’addio di tre figure fondamentali (Mignani, Antenucci e Frattali), più l’acquisto di calciatori con evidenti problemi caratteriali e carismatici, sia esploso tutto, portando poi all’esasperazione anche alcuni difetti che, fino a questo momento, erano addirittura considerati un pregio, cioè la gestione umana del DS Polito.
Bene, il disastro di questa stagione parte da qui, da uno spogliatoio depauperato dei suoi Uomini più importanti, in cui è nata ed è regnata la più totale anarchia. In quella pancia del San Nicola, in cui sono nate e cresciute grandi squadre, ci si è pugnalati alle spalle, prendendo decisioni (condivisibili o no) per il solo tornaconto personale, una garanzia per una stagione fallimentare.
Nonostante non ci sia nient’altro da aggiungere e anzi, questo vocabolario avrebbe potuto iniziare e finire con quest’unica affermazione, S sta anche per Scellerata, perché non si può che considerarla tale questa stagione. Scellerata.
Scellerata nelle sue fasi iniziali, del ritiro e del mercato abbiamo già parlato, Scellerata nel mezzo, degli esoneri e delle dichiarazioni abbiamo già parlato, Scellerata nei modi e nei tempi, Scellerata anche nelle ultime fasi di questo strazio.
T di Tensione, quella che pian piano, gradualmente, si è impennata fino ad arrivare a livelli altissimi, portando non solo a screzi in campo, ma anche ad aggressioni fisiche (come quella avvenuta in un autogrill tra Polito ed un gruppo di tifosi o, ancor prima, sul presunto screzio spinto tra Ricci e Sibilli), che rischiano di mandare all’aria un’intera stagione.
Tensione, sia chiaro, alta non solo per le brutte prestazioni, per la classifica quasi disperata e per l’apparente strafottenza di un gruppo di calciatori a cui del Bari, evidentemente, non frega nulla, ma anche per uscite infelici da parte di Presidenza e staff che non hanno fatto altro che inacidire l’ambiente, che sia sugli spalti o sullo stesso campo.
U di Umiltà, che, assieme alla Qualità, questa squadra non ha mai avuto.
L’umiltà di fare un passo indietro rispetto ai propri pensieri, che siano quelli di un Direttore Sportivo o quelli di un gruppo di calciatori che hanno deciso tre esoneri durante la stagione, l’Umiltà di dire “ho sbagliato” e non di accusare tutto e tutti nel momento in cui il disastro tecnico-tattico è ormai evidente al mondo, l’Umiltà di mettersi in gioco e di mettere da parte screzi, antipatie o caratteri poco consoni.
Ecco, a furia di sembrare ripetitivo, questa umiltà questa squadra non l’ha mai avuta, con ovvi risultati.
La parte più dolorosa di questa stagione rimarrà comunque lo scotto post Undici Giugno, che simpaticamente (sebbene su queste cose non si debba mai scherzare) potremmo considerare come l’undici settembre della storia biancorossa.
Sebbene una buona parte di quella squadra sia cambiata, per lo meno dalla cintola in su, quella disfatta continua a trascinare strascichi su chiunque, che sia un tifoso o che sia un calciatore che l’ha vissuta. Quella sera è “morta” una parte di noi, una parte di chi in campo ci ha creduto (ed infatti io non nutro alcun dubbio sulla veridicità delle lacrime di Di Cesare) e ha aperto una ferita da cui è difficile guarire.
Da quel giorno tutto è cambiato, molte cose si sono rotte e son di difficile riparazione, dal rapporto tra tifoseria e società, che si è chiusa in un silenzio comprensibile nella prima settimana, ma durato praticamente trenta giorni, con alcuni membri dello staff, Polito in primis che ne è uscito comunque da “vincitore”, scatenando come detto il suo ego smisurato che ha portato al disastro a cui stiamo assistendo oggi.
Ve la prendete per una partita persa”.
26 febbraio dell’anno domini 2024, il Profeta dopo la sconfitta a Bolzano decide di condividere il proprio pensiero all’aeroporto, in un confronto pacifico avuto con qualche tifoso, deluso dall’ennesima sconfitta arrivata dopo una prestazione spenta, dove il tabellino indica l’invidiabile statistica di un tiro in porta in tutta la partita da parte dei galletti.
Quella sconfitta porrà le bari all’ancor più invidiabile striscia di partite senza vittoria, ad oggi 12, dove le sconfitte saranno addirittura sette, guarda caso come gli attaccanti.
V soprattutto di Vanto, perché ricordate bene fratelli, il 29 marzo dell’anno domini 2024 l’illustrissimo Presidente ci ha indicato la strada, affermando che “Anche restare in Serie B è un vanto, la categoria è complicata” ai microfoni della, a sua volta, Illustrissima radio ufficiale biancorossa, pronta a pendere dalle sue labbra senza proferir parola perché, anche quando ai suoi microfoni si sta compiendo un delitto vergognoso ai danni dei tifosi del Bari e della sua storia, va gestito e difeso il rapporto tra le due parti.
Un Vanto talmente grande che dovremmo essere felici dell’ennesima stagione disastrosa, il cui epilogo potrebbe essere un unicum nella storia recente biancorossa dato che, sul campo, il Bari non retrocede in C da ben 41 anni quando, più o meno con le stesse modalità odierne (squadra che perde la A diretta all’ultima giornata nella stagione precedente), si consumò un disastro sportivo molto poco raro nel panorama calcistico italiano.
Vantiamoci, con la vostra stessa arroganza. Però attenzione, perché quando ci si vanta troppo il Karma è pronto ad entrare in teckle a gamba tesa, rischiando di fare particolarmente male.
Non possiamo però non citare Valerio Di Cesare, il capitano che, con il cuore in mano, non è riuscito a trattenere le lacrime in un momento delicatissimo come quello che stiamo vivendo, probabilmente ripensando non solo all’undici giugno come da lui ammesso, ma anche alla situazione disperata in cui sta navigando a vista il Bari.
L’ultimo a mollare nonostante i suoi quasi 41 anni, che l’hanno reso il marcatore più anziano della Serie B dopo il gol “salvezza” contro il Parma, Valerio si è caricato per l’ennesima volta la squadra sulle spalle, così come aveva fatto due anni prima, senza però avere una solida spalla al suo fianco, all’epoca Mirko Antenucci. Di Cesare sta facendo tutto da solo, magari spalleggiato da qualcuno certamente meno carismatico di lui, e lo sta facendo sia per una questione personale, sia per il Bari. Quel Bari che ha sposato ormai 6 anni fa quando ancora aveva molto da dare al calcio professionistico, scendendo addirittura in Serie D. Quel Bari che non ha mai mollato, anche quando dopo un anno vi erano delle avance dalla cadetteria. Quel Bari che ha trascinato, con il sudore, in Serie B ad un passo dalla A, suo vero e ultimo obbiettivo che, probabilmente, non potrà mai più raggiungere, per lo meno da calciatore. Quel Bari, Di Cesare, ormai ce lo ha tatuato sulla pelle. E sì, non sarà il più simpatico dei calciatori, non sarà il Capitano empatico e trascinatore perché lui non le manda a dire e, quando pensa una cosa, la dice senza giri di parole, siamo d’accordo, ma è un Uomo prima che un calciatore e solo lui sa quanto sia complicato sbrogliare questa brutta matassa.
Per ultimo, tutti quanti abbiamo e stiamo provando un senso di infinita Vergogna, un termine che racchiude in sé l’intera stagione.
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